L'Opera del mese - novembre 2022
Scipione (Gino Bonichi)
Macerata 1904 - Arco, TN 1933
Il Cardinal Decano, 1930
olio su tavola, cm 133,7 x 117,3
inv. AM 1081
Il Cardinal Decano è una delle opere più importanti della collezione della Galleria d’Arte Moderna. L’opera è stata realizzata nel 1930 da Scipione, pseudonimo di Gino Bonichi, artista vissuto nei primi decenni del Novecento e scomparso prematuramente.
Al centro della composizione c’è il novantaquattrenne Cardinale Vincenzo Vannutelli (1836-1930) seduto su uno scranno. I radi capelli e il volto rugoso ci informano sull’età avanzata del prelato, "decano", appunto, del collegio cardinalizio. Il capo è rivolto verso destra, le braccia poggiano solenni sui braccioli e le mani ossute ricadono sulle ginocchia. L’anulare della mano destra è impreziosito da un anello. Il cardinale indossa sulle spalle un’abbondante mozzetta rossa, mantellina indossata dagli alti ecclesiastici, al cui centro campeggia un crocifisso pendente da un collare d’oro.
Ai lati del personaggio e sullo sfondo l’artista ha collocato una serie di simboli, figure ed elementi architettonici volti a sottolineare la solennità del potere ecclesiastico. A destra una colomba nera riposa su una balaustra, cui si appoggiano anche una grossa chiave e un dado con il numero tre: entrambi gli elementi, ingranditi oltre la misura naturale, attraggono l’attenzione dello spettatore sul loro valore simbolico, che allude al potere petrino e al racconto della Passione. A sinistra del trono un angioletto ricciuto introduce allo spazio di Piazza San Pietro, caratterizzata dalla presenza di un obelisco, di una fontana e dal celebre colonnato con la mole scura della cupola. Il colonnato è concluso, in alto, da un orologio e da cinque statue. Oltre le architetture, dipinte con toni cupi e scuri, si apre un cielo illuminato da rossi bagliori; la scena si tinge perciò di un sottile senso di presagio e di un’intonazione minacciosa e apocalittica.
Affascinato dalla figura del Cardinal Vannutelli, Scipione lo ritrasse varie volte, anche nella camera funeraria allestita nel luglio 1930 in via Dataria. In questo ritratto, forse ispirato a una fotografia, il pittore si rifà ai grandi modelli della ritrattistica ecclesiastica e papale (Tiziano, Velazquez, Raffaello), riletti alla luce della pittura moderna e in particolare dell’espressionismo di Derain e Kokoschka, da cui derivano la deformazione delle anatomie e l’uso violento del colore.
La cultura artistica di Scipione si forma nel clima del simbolismo e del decadentismo. Giovanissimo, nonostante gravi problemi polmonari, studiò alla scuola libera del nudo dell'Accademia di Roma; parallelamente incrementava al propria cultura figurativa disegnando e osservando assiduamente i maestri antichi e moderni conservati nei musei, nelle biblioteche e nella raccolta di stampe della Calcografia Nazionale. Con l'incontro con Mafai e l'adesione alla Scuola Romana i suoi gusti si orientarono più sensibilmente verso l'avanguardia espressionista e surrealista europea, che confermavano certe coloriture allucinate e oniriche già derivanti - oltre che da un'intensa e tormentata religiosità - dall'ammirazione per Goya, El Greco, Magnasco, Piranesi, Rouault, Doré.
L'artista morì giovanissimo a causa della tubercolosi, dopo due anni di sanatorio trascorsi fra Roma e Arco, tra le montagne trentine, durante i quali - ormai impossibilitato a dipingere - scrisse poesie, lettere e note diaristiche, poi pubblicate postume (Le civette gridano, 1938; Carte segrete, 1943).
L'opera, acquistata nel 1935 dal Governatorato di Roma nell'ambito della II Quadriennale, è esposta all'interno della mostra "Pasolini pittore" (29 ottobre 2022 - 16 aprile 2023), nella sezione dedicata a "Il Novecento di Pasolini".
Per tornare alla rubrica > L'opera del mese della Galleria d'Arte Moderna